SEDUTI IN MAGAZZINO

L’ampio corridoio di manovra come aula. Le casse di legno, a spina di pesce, come panche. Le scaffalature come sfondo scenografico.

La prima volta, a ottobre 2020, si pensava fosse una circostanza straordinaria, destinata a rimanere isolata. La seconda volta, a luglio 2021, dava già l’impressione di tornare in un luogo famigliare, quasi fosse normale essere lì a fare un corso. La terza volta, se ci sarà, sembrerà forse di averla sempre fatta lì la formazione, e si affievolirà un po’ il ricordo delle lezioni in mensa, con olio e aceto a contendere i tavoli alle dispense e con gli aromi delle pietanze a contendere l’attenzione al docente.

Ma se ci sarà una terza volta l’auspicio è che sia per scelta, e non per il protrarsi dell’emergenza sanitaria covid19 e delle correlate regole anticontagio. Sì perché, a convertire il magazzino in un’aula, è sempre lei, l’ingombrante e persistente pandemia, con le sue pretese di distanziamento e di mascheramento. Per non mettersi fuori in piazzale (e perché no, meteo permettendo?), solo lì in magazzino c’è spazio a sufficienza, ma era già un sollievo l’autunno scorso poter tornare finalmente ai corsi in presenza. Certo, le casse nate per trasportare cilindri metallici non sono esattamente poltrone super-comfort, i lucernari del capannone non hanno gli oscuranti e laggiù, nelle ultime file, il telo di proiezione diventa piuttosto piccolo e la voce del docente alquanto ovattata: situazione che impone un supplemento di energia e fantasia per tenere agganciati i discenti, soprattutto nei corsi sulla sicurezza che notoriamente, per legge, devono essere tediosi e soporiferi.

Eppure la location alternativa offre anche stimoli inaspettati. Non solo per coloro che, malgrado la longeva militanza aziendale, non si erano mai avventurati oltre gli uffici e scoprono così quali cose mirabolanti si celino dietro quel muro. Lo stimolo più curioso, al limite del sovversivo, è proprio l’atto insolito di sedersi in magazzino. Sostare in un luogo nel quale, normalmente, si passa e basta. Trattenersi dove in genere si transita distrattamente, o non si transita affatto. Addirittura sedersi, cioè abbassare di qualche decina di centimetri il proprio punto di vista e da lì, inevitabilmente, guardarsi intorno, cogliendo in diversa prospettiva oggetti e spazi, situazioni e idee.

Scappa spesso di suggerirlo ai corsi, soprattutto con i preposti: prendi una sedia, mettila in un posto qualsiasi del tuo ambiente di lavoro, un posto in cui di solito non ti fermi, un angolo fuori mano, dietro una macchina, vicino ad un passaggio, siediti lì e guardati intorno. Probabilmente ti prenderanno per matto, ma basteranno pochi secondi per vedere cose mai viste prima. Non proprio “navi in fiamme al largo dei bastioni di Orione”, ma quasi. E senza nemmeno uscire dal reparto in cui passi le tue giornate da anni, di cui pensavi di conoscere tutto, in cui eri convinto che “è sempre stato così” e che “non c’è altro modo”.

Quindi, che siano magazzini, casse, scaffalature o qualsiasi altra combinazione di fattori, che sia per necessità pandemica o (auspicabilmente) per scelta didattica, ben vengano gli spostamenti di punto di vista, quelli che mostrano come non sia sempre stato così, come ci siano altri modi. Soprattutto nei corsi sulla sicurezza che notoriamente, per legge, devono lasciare un segno.

Alberto Vicentin

 

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