Migrazioni di categoria
7 agosto 2020
È una giornata di inizio agosto, un’esemplare, inequivocabile giornata estiva, di quelle che si apprezzano molto o incombono molto a seconda di cosa c’è in agenda. Di quelle che spezzano l’umanità e le sue percezioni in due grandi categorie esistenziali: coloro che se la godono e coloro che se la soffrono.
Io in agenda ho un sopralluogo in cantiere, e mica un cantiere qualunque. Qui bisogna entrare in alta uniforme, mettendo insieme giubbino d’ordinanza ben riconoscibile (catarifrangente sì, traspirante così così), scarpe antinfortunistiche, mascherina boccanaso anticontagio, casco paracolpi e occhialoni paraschizzi. Questi ultimi, per noi ipovedenti non lentiacontatto-dotati, vanno sopra gli occhiali da vista: i due dispositivi bisticciano un po’, ma in qualche modo se ne fanno una ragione.
Un sole forte oggi, il cielo appena striato da vapori di nuvole, temperature alte anche più dell’uniforme.
Arrivo in cantiere, guardo, parlo, aspetto, controllo, faccio foto, scrivo, giro, guardo ancora. Gli operai che formicolano in tuta monouso e semimaschera con cartucce filtranti (di quelle serie). Il caposquadra che, sotto le protezioni e sopra il rumore, grida anche solo per salutare. La polvere che sbuffa controluce e brulica a terra. La scorta di bottiglie d’acqua tiepide, seminascoste all’ombra di un impalcato. La documentazione inzaccherata ma pronta, lì al suo posto, che non si sa mai. Spezzoni di conversazioni multilingue in cui, si capisce, la mimica fa più delle parole.
Poi ad un certo punto me ne vado.
E mentre me ne vado mi è chiaro che oggi tra tutti coloro che stavano in cantiere io, che me ne sto andando, ero quello con l’uniforme più leggera, con i compiti meno pesanti (tralasciando di pesare la responsabilità, che anche messa sulla bilancia ognuno ci legge il valore che vuole) e con più margine di pensare alle temperature, di sbirciare il cielo striato e di giudicare il sole.
Insomma adesso, mentre raggiungo l’auto accaldata in parcheggio, mi è evidente a quale delle due categorie esistenziali io appartenga oggi. E fa strano pensare a quel tipo che appena un’oretta fa entrava in cantiere: a prima vista mi assomigliava parecchio, ma apparteneva all’altra categoria.
Alberto Vicentin
